Page 6 - W Capo d'Orlando
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“Vanno gli uomini ad ammirare le cime dei monti e gli ingenti flutti del mare, le
        vaste discese dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso delle stelle e di sé stessi non si
        prendono cura”, scriveva Sant’Agostino nelle Confessioni.

        E per prendersi cura di sé stessi è importante conoscere il proprio territorio.
               Gnōthi sautón, “Conosci te stesso”, vi era scritto sul frontone del tempio di Apollo
        a Delfi: era un invito, ripreso poi dalla filosofia socratica ed alla base della cultura apollinea
        occidentale, a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro,
        non al di fuori di noi. E se è vero che è la vita che determina la coscienza,  come giustamen-
        te asseriva Karl Marx, allora conoscere il proprio territorio significa conoscere sé stessi.
        Conoscere il territorio è importante per non soffocare il fanciullino che è in ognuno
        di noi.

               Gli uomini vanno dappertutto, in giro per il mondo, per mare e per terra, nel cielo,
        ma passano accanto a sé stessi, accanto alle pietre della propria fanciullezza senza mera-
        vigliarsi e così perdono, per dirla col Pascoli, il fanciullino che hanno dentro di sé, quello
        “che continua a provare stupore per tutto”, quello che vive con “semplicità ed umiltà”, che
        “ha paura del buio”, che “sogna ad occhi aperti”, che “ama la natura e gli animali”, che
        “rende la felicità e l’infelicità sopportabili”, che parla senza mai stancarsi.

        Conoscere il territorio è importante per non recar oltraggio alle pietre della nostra
        vita, della nostra esistenza.

               Le pietre parlano, scriveva il compianto Cesare Di Vincenzo nella sua bellissima
        opera edita da Armando Siciliano Editore, ma possono essere ascoltate soltanto con le
        orecchie della conoscenza, dell’intimità, dell’interiorità e della poeticità, quando abbando-
        niamo il nostro essere adulti per tornare al bello ed al dolce della nostra fanciullezza. Tutte
        quante le pietre di Capo d’Orlando hanno una storia! Tutte quante hanno un’anima! Non in
        quanto animate, quanto perché la ricevono dagli esseri animati che esperiscono la vita nel
        loro contatto. Non riconoscerle significa abbandonarle e quindi recar loro oltraggio, perché
        con l’abbandono perdono l’anima e con essa la loro storia, il loro profondo significato, l’in-
        timo contenuto e l’alto valore storico. La storia siamo noi, ma di alcuni non c’è più traccia
        se non nel dimenticatoio del tempo. È come dice il Pascoli: nelle cose è possibile trovare
        “il loro sorriso e la loro lacrima”; una condizione d’infanzia dell’anima che consente “la
        contemplazione dell’invisibile, la peregrinazione per il mistero, il conversare e piangere e
        sdegnarsi e godere coi morti”.
        Conoscere il territorio è importante per godere del bello come ciò che piace sponta-
        neamente.
               Se il bello è ciò che piace spontaneamente e non è né l’utile né il gradevole, Capo
        d’Orlando è bella perché piace spontaneamente! Sia che si provenga dai paesi costieri vici-
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